Borgo sulla valle del torrente Osento, terra di vento forte in un paesaggio a perdifiato, in cui ascoltare l'eco di antichi passi incantati da una natura selvaggia e incontaminata lungo i cammini della Transumanza. L’etimologia del nome sembra derivare dalla lingua degli Osci, che chiamarono questa terra Akudunniad e che significa "Madre cicogna"; la cicogna, non a caso, compare nel simbolo di Lacedonia, a partire dal 212 a.C., quando tale volatile prese il posto dell'aquila. Chiamata poi Erdone leggi di più
Borgo sulla valle del torrente Osento, terra di vento forte in un paesaggio a perdifiato, in cui ascoltare l'eco di antichi passi incantati da una natura selvaggia e incontaminata lungo i cammini della Transumanza. L’etimologia del nome sembra derivare dalla lingua degli Osci, che chiamarono questa terra Akudunniad e che significa "Madre cicogna"; la cicogna, non a caso, compare nel simbolo di Lacedonia, a partire dal 212 a.C., quando tale volatile prese il posto dell'aquila. Chiamata poi Erdonea, probabilmente da un suo conquistatore, successivamente è stata denominata Al Cidonia e Cedogna fino al 1800, per essere infine “Lacedonia”. Le testimonianze storiche di un passato glorioso sono visibili nelle antiche mura, nei palazzi nobiliari e nelle chiese del centro storico.
Ad un lato della piazza centrale del borgo si trova un castello, o meglio un palazzo-fortezza, noto come castello di Pappacota, in quanto fatto edificare nel 1500-1501 da Ferdinando Pappacota, divenuto, nel 1496, feudatario di Lacedonia, per investitura del Re di Napoli, Federico D’Aragona. Il castello fu residenza gentilizia, sia pur fortificata, dove visse il feudatario Ferdinando, che vi morì con la moglie Cornelia D’Accio. La costruzione si trovava ad ovest rispetto al borgo allora esistente e fu denominato “Castello Nuovo”, per distinguerlo dal più antico, quello degli Orsini. Le originarie caratteristiche di luogo fortificato risaltavano sia dalle tre torri che dai numerosi elementi architettonici: fossati, feritoie, merlature, bocche per cannoni, camminatura di ronda, passaggi sotterranei. L’odierna struttura mantiene dell’originaria una sola delle torri e parte del corpo di fabbrica, a causa dei danni subiti in seguito ai terremoti che si sono succeduti nei secoli. I restauri ne modificarono in parte l’originaria configurazione, mantenendo inalterati i merli della torre sul lato Sud, diverse feritoie e l’antico pozzo. Estintasi la famiglia feudataria dei Pappacoda, il feudo di Lacedonia e il castello andarono in eredità ad una suora del Monastero di Pietrasanta in Napoli, che nel 1700 circa, lo vendette (con i feudi di Rocchetta S. Antonio e Candela) ad Andrea Doria Panfili, Principe di Genova. Una volta aboliti i diritti feudali (1806), il castello fu comprato dalla famiglia Onorato e venne censito nel catasto urbano. La struttura fu abitata fino alla metà del XIX secolo.
La chiesa di Santa Maria Assunta è il duomo di Lacedonia e concattedrale della diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia. fu costruita verso la fine del XVII secolo, mentre la cittadina attraversava una grave crisi sismica (il terremoto del 1694 rase quasi completamente al suolo il borgo di Lacedonia). I lavori, voluti dal vescovo Gian Battista La Morea, iniziarono con la posa della prima pietra il 28 settembre 1689 e furono portati a termine nel 1709. Come ricorda una lapide murata all'interno, la cattedrale fu consacrata il 19 ottobre 1766 dal vescovo Nicola D'Amato, a cui si deve anche la decorazione interna dell'edificio e la sua elevazione a basilica. Inizialmente a una sola navata, nel 1860 furono aggiunte le due navate laterali. La facciata si presenta nella sua forma a capanna, con bel portale centrale in pietra, e affiancata da una torre campanaria in travertino, edificata nel 1751. L'interno, a tre navate, conserva opere del Seicento e del Settecento. L'opera certamente più significativa è un altare ligneo del Cinquecento su cui è dipinto un trittico di pregevole fattura, ma di attribuzione incerta: nel XIX secolo esso fu attribuito ad Andrea Sabatini da Salerno, mentre dopo gli ultimi restauri è stato attribuito ad Antoniazzo Romano o ad un allievo della sua scuola. Il trittico si compone, nella sua parte centrale, della figura della Madonna benedicente che tiene una rondine nella sua mano sinistra, mentre ai suoi lati vi sono le figure dei santi Pietro, Giovanni Battista, Michele e Nicola. Le figure dei santi hanno subito il trasporto su tela nel corso dell'Ottocento. leggi di meno